Giacomelli Rosmini, Antonietta (1857-1949)

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Antonietta Giacomelli

Antonietta Giacomelli nacque a Treviso il 15 agosto 1857 da una benestante famiglia d’origine friulana: il padre, Angelo Giacomelli, aveva sofferto il carcere nel 1852 con i martiri di Belfiore e la madre era, a sua volta, la nipote prediletta di Antonio Rosmini.
Purtroppo la sua giovinezza fu contrassegnata dal crac finanziario della famiglia nel 1875 e da un successivo periodo di frequenti traslochi per motivo di lavoro del padre, ma che la predispose ad una maggiore apertura verso i problemi dei più indigenti.

Nel 1893 G. si trasferì con la famiglia a Roma e due anni dopo avvenne l’incontro con la scrittrice protestante italo-svizzera Dora Melegari (1849-1924), in casa della quale fu concepita la fondazione dell’Unione per il bene, un’associazione interconfessionale per aiutare i poveri (in particolare del degradato quartiere romano di San Lorenzo al Verano), e di cui facevano parte molti personaggi noti dell’epoca residenti a Roma, come il poeta Giulio Salvadori (1886-1928) e il prelato e storico francese Paul Sabatier (1858-1928) [da non confondere con l’omonimo chimico (1854-1941), vincitore del premio Nobel].
L’attività dell’Unione, nel contesto di un non facile periodo per la Chiesa cattolica a causa del crescente movimento modernista, fu criticata da diversi settori della Chiesa per la sua forte ispirazione ecumenica. Ciononostante la G. continuò nella sua opera anche dopo il 1902, quando rientrò stabilmente a Treviso, e qui riceveva abitualmente nel suo salotto i principali esponenti modernisti dell’epoca come Antonio Fogazzaro, Giovanni Semeria, Tommaso Gallarati-Scotti (1878-1966), il già citato Paul Sabatier, e Romolo Murri, ma anche i vescovi Geremia Bonomelli (1831-1914) e Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905), esponenti di quella parte del clero d’ispirazione rosminiana, denominata conciliatorista, vale a dire la gerarchia ecclesiastica favorevole ad una riconciliazione tra lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica. Fu in quest’ambiente che tra il 1904 ed il 1907 la G. scrisse la sua più famosa opera, l’Adveniat Regnum Tuum, una trilogia di meditazioni, comprendente La Messa, il Rituale cristiano e L’Anno cristiano.

Immediatamente infuriarono le polemiche da parte della curia locale: infatti, la G. sosteneva idee allora considerate pericolose, come la partecipazione attiva dei fedeli al rito della Messa, magari celebrata in italiano, un maggior coinvolgimento dei laici nella vita della Chiesa e l'ecumenismo inteso come momento di salvezza universale. Le fu negata la Santa Comunione da parte dell’intransigente vescovo di Treviso, l’ex provinciale dei cappuccini, Andrea Giacinto Longhin (1863-1936).
Lo stesso prelato, quando gli scritti della G. furono condannati all’Indice nel 1912, la dichiarò scomunicata “vitanda”, cioè la forma estrema di ostracismo nel diritto canonico, che prevede che i fedeli espressamente evitano i contatti con la persona condannata.

G. commentò la sua condanna, attribuendola ad un tragico errore di quanti avevano frainteso "questo risveglio degli spiriti e delle coscienze", questo "gran moto di riscossa cristiana che si è andato manifestando nella Chiesa cattolica, e che gli avversari vollero diminuire dandogli il nome di modernismo", come scrisse nel suo lavoro del 1913 Per la riscossa cristiana, in cui difendeva il movimento di rinnovamento religioso, bollato “modernista”. Durante la prima guerra mondiale, la G. si dedicò ad attività di assistenza come dama della Croce Rossa, e dopo la guerra, s’impegnò nella riforma dello scoutismo italiano, fondando gli Esploratori cattolici e mutando il nome dell'associazione scoutistica femminile UNGEI in "Unione Nazionale Giovinette Volontarie Italiane", dotandole nel contempo di un nuovo statuto e regolamento.

Durante il fascismo G. si ritirò in un pensionato di suore, e il 10 dicembre 1949, in seguito ad una caduta, morì molto anziana (91 anni) e poverissima. Un mese dopo la sua morte, un altro discusso prelato cattolico, don Primo Mazzolari, le scrisse un sincero necrologio sulla rivista Adesso, affermando:
Era schietta, trasparente e salda come un diamante, sceglieva sempre la via più diritta e la più aspra: conosceva soltanto il sì e il no, usandoli senza diplomazia, senza riguardo di persone, pronta però a ricredersi con generosa umiltà appena s'accorgesse di aver sbagliato o fatto soffrire […].
Antonietta Giacomelli è la donna più forte che io abbia conosciuto, la più distaccata e la più ferma, la più umile e la più fiera, la più operosa e la più povera.